lunedì 23 marzo 2015

La tradizione dei dolci a Pasqua

note a cura di Giampiero Rorato



I dolci che la ricca tradizione italiana prepara per la grande solennità cristiana della Santa Pasqua – che ricorda la resurrezione di Cristo, avvenuta poco meno di duemila anni fa a Gerusalemme – non si limitano a testimoniare la riconosciuta grandezza e importanza della festa pasquale, avendo in sé altri significati che la tradizione  esige di rispettare. 

Sulla scia di una ormai plurimillenaria tradizione, risalente nelle sue prime origini al IV sec. d.C., il dolce di Pasqua è un pane ricco, addolcito dallo zucchero (anticamente dal miele) e confezionato con burro e molte uova. Anche la complessità della confezione, che esige lunghi momenti di sosta, testimonia che si tratta di un dolce specialissimo, strettamente legato all’avvenimento per il quale è preparato.



Una cosa salta subito agli occhi: per questa solennità il dolce deve essere, in quasi tutte le preparazioni, estremamente soffice, frutto di un impasto lievitato più volte.
Eppure l’ordine dato da Dio a Mosè era ben diverso: “Per sette giorni voi mangerete azzimi. Già dal primo giorno farete sparire il lievito dalle vostre case, perché chiunque mangerà del lievito dal giorno primo al giorno settimo, quella persona sarà eliminata da Israele… Osserverete gli azzimi, perché in questo stesso giorno io ho fatto uscire le vostre schiere dal paese d’Egitto; osserverete questo giorno di generazione in generazione come rito perenne…”.(Es. 12, 15-17).

Perché questa contraddizione?

La cucina ebraica a differenza di quella cristiana è rimasta fedele all’antico comando, infatti ogni casa ove vive un ebreo deve essere accuratamente pulita nei giorni che precedono la Pasqua proprio per togliere ogni minima traccia di cibi lievitati. In quei giorni il pane è sostituito dalla “mazzà”, il pane azzimo che deve essere anche senza lievito, che ricorda quello mangiato dagli Ebrei durante l’uscita dall’Egitto. Con azzime e farina di azzime si fanno poi diversi tipi di minestra per sostituire le paste alimentari che non possono essere usate durante la Pasqua. Si preparano, infine, diversi dolci a base di mandorle e uova, ma non deve esserci assolutamente il lievito.



I cristiani di rito latino hanno conservato un piccolo ma molto significativo legame con la tradizione della Pasqua ebraica, preparando senza lievito e senza sale l’ostia usata nelle messe. Ma è tutto qui.

I dolci della tradizione pasquale cristiana, in particolare dell’Italia ma un po’ ovunque nel mondo occidentale, non si innestano dunque nella linea giudaico-cristiana, ma sono frutto di altre tradizioni, in particolare di quella dei pani ricchi, più tipici delle feste natalizie.




E se è vero che nei dolci natalizi il pane è simbolo dell’inizio di una nuova era, oltre che l’inizio del nuovo anno, esse esprime tuttavia il bisogno di un “pane di vita”, come si autodefinì il Messia, mentre il dolce di Pasqua simboleggia la festosità piena per la “liberazione” raggiunta.
Nella Pasqua cristiana non si tratta, come è per gli Ebrei, della “liberazione” dalla schiavitù dei faraoni, ma dal peccato originale che impedì agli esseri umani, fino al giorno della resurrezione di Cristo, di vivere la vita vera nel regno di Dio.

La Pasqua dà ai cristiani questa certezza, per cui la festa – nel suo significato originario – è non solo totale, ma del tutto nuova rispetto a quella ebraica (salvo nella tradizione gastronomica dell’agnello e delle erbe amare).

E se la cultura e la tradizione cristiana hanno informato di sé la civiltà occidentale, è comprensibile che, indipendentemente dalla profondità o dalla presenza stessa della fede personale, per la festa di Pasqua si prepari in ogni casa un dolce che è simbolo della vita rinnovata, ricco e piacevolissimo, a confermare che si tratta davvero di un giorno memorabile.
Su questo dolci si possono aggiungere delle interessanti connotazioni.



Innanzi tutto nei dolci pasquali c’è l’abbondante presenza delle uova. È noto che l’uovo è il simbolo dell’origine della vita e a Pasqua, che si celebra in primavera, l’intera natura si ridesta a nuova vita. E così è nell’insegnamento cristiano che ricorda come la Pasqua celebri la resurrezione di Cristo dai morti, iniziando una nuova vita che non avrà più fine, invitando i seguaci di Cristo a rinnovare la propria vita, grazie alla Misericordia divina, iniziando quindi una vita nella grazia, ad imitazione di Cristo.

Fra i dolci c’è, in diverse parti d’Italia la colomba, un dolce che, per la sua forma, ha diversi richiami.




Innanzi tutto è il simbolo dello Spirito Santo, un richiamo quindi alla sacralità della festa; poi è simbolo della pace, come la colomba che Noè fece uscire dall’arca per vedere se le conseguenze del diluvio erano cessate e la colomba tornò nell’arca con un ramoscello d’ulivo nel becco, segno che era ritornata la vita sulla terra.

E c’è un ulteriore interessante elemento. A Venezia e nel Veneto la colomba pasquale, oltre che essere confezionata con farina, uova, zucchero e burro, contiene anche, pur in quantità ridotta, delle spezie orientali, come cannella, vaniglia e chiodi di garofano ed è quindi significativa memoria di epoche gloriose per Venezia, in particolare del tempo delle Crociate che hanno consentito ai Veneziani di scoprire i tanti tesori dell’Oriente.

La colomba, dunque, come altri dolci pasquali italiani, presenta un distacco netto con le tradizioni precedenti all’anno Mille, a dimostrazione che nel corso della storia possono nascere, come di fatto nascono, piatti e usi totalmente nuovi, che, se restano, come è appunto il caso della colomba, arricchiscono non solo il patrimonio gastronomico, ma diventano elementi caratterizzanti della tradizione e, in definitiva, della civiltà.