martedì 1 ottobre 2013

Il vino di re Mida

Nella cuore dell’odierna Turchia c’era il regno di Frigia, i cui re si chiamavano alternativamente Gordio e Mida

di Giampiero Rorato

Si sa che la coltivazione della vite, iniziata in modo consapevole e sistematico attorno a 10.000 anni fa alle pendici del Caucaso (Armenia, Georgia, Turchia orientale), si diffuse poi nei millenni seguenti nella penisola anatolica (attuale Turchia asiatica, toccando le isole dell’Egeo e poi la Grecia): ancora verso sud (Siria, Libano, Palestina, Egitto) e verso la Mesopotamia, tra i fiumi Tigri ed Eufrate (attuale Iraq). 

Ciò avvenne già nella lontana preistoria, mentre le prime viti nelle coste del Mediterraneo (Italia, Francia, Spagna) furono timidamente introdotte a cominciare dal 1000 a.C grazie ai Fenici (anche se in queste terre, soprattutto nella penisola italica, c’erano già dei vitigni selvatici, successivamente in parte domesticati). 

Un secondo arrivo di vitigni in questi Paesi avvenne attorno all’VIII° sec. a.C, con le emigrazioni greche che, per quanto riguarda l’Italia, diedero vita a quella straordinaria civiltà presente nell’Italia centromeridionale, nel territorio da allora conosciuto col nome di “Magna Grecia” (la Grande Grecia).

Nel regno di re Mida

Ma facciamo un passo indietro. Chi non ricorda il detto secondo cui re Mida trasformava in oro tutto ciò che toccava? Di questo re si sapeva poco e ancor meno della sua reggia e della sua città (Gordion), anche se è noto che nel 333 a.C Alessandro Magno, giunto in quella città, mentre marciava alla testa del suo esercito verso la conquista dell’Asia, tagliò con un colpo di spada il nodo che legava il timone di un carro a un solido palo. 

Quella città era stata edificata tanti secoli prima (su un insediamento risalente al 3000 a.C.) e un oracolo aveva affermato che la prima persone che ne avesse varcato la porta su un carro trainato da buoi ne sarebbe diventato re. 

Il primo a passare fu un contadino di nome Gordio (nella foto a sinistra, l'ingresso del museo) e per ricordare a tutti il suo diritto al trono legò in modo inestricabile il carro a un palo al centro della città. 

Disse ancora l’oracolo che in futuro il regno sarebbe stato conquistato solo da chi fosse riuscito a sciogliere il nodo. Ci provarono in molti, ma ci riuscì solo il grande Alessandro che lo sciolse a colpi di spada.



La Frigia

Quello era il regno di Frigia, al centro della penisola anatolica, abitato da un popolo di incerta origine, dove si sviluppò una civiltà molto avanzata, nella cui capitale, Gordion, c’era una delle corti più raffinate e sfarzose dell’antichità. 

Si sa che, dopo il passaggio di Alessandro Magno (nel riquadro) che conquistò la Frigia, strappandola ai Persiani che l’avevano conquistata nel 540 a.C, ci fu, attorno al 250 a.C. l’invasione dei Galati (Celti, originari del centro Europa) e poi ci fu il silenzio e il deserto che durò fino al 1893, quando, durante i lavori per la costruzione della ferrovia Baghdad-Berlino, vennero alla luce alcune rovine ed ebbe inizio un lungo lavoro di riscoperta dell’antica civiltà.

Il vino di re Mida

Nella seconda metà del secolo scorso, durante una stagione di scavi, vennero alla luce due tumuli risalenti all’età del ferro (800-550 a.C.), il più importante dei quali, denominato MM, conteneva, fra l’altro, una tomba reale, con ancora intatto il corredo funebre. E qui avvenne la straordinaria scoperta. Non essendo stato possibile conoscere il nome del re lì sepolto, gli archeologi, che operavano per conto dell’University of Pennsylvania Museum di Philadelphia, pensarono ipoteticamente al re Mida (che comunque non poteva essere quello dell’antica mitologia, forse si trattava del nonno o bisnonno).


Nella grande tomba (qui a sinistra), risalente al 740 a.C., furono trovati 14 tavoli in legno (probabilmente usati durante il banchetto funebre), in ciascuno dei quali c’era una situla bronzea (un vaso) della capienza di 5 litri di vino.

C’erano poi altre sicule bronzee a testa di leone o di ariete, una ventina di brocche che servivano a prelevare il vino da tre calderoni, per essere versato, tavolo per tavolo, ai convitati.


 I tre calderoni bronzei, posti su tripodi situati ai lati delle tavole, contenevano circa 500 litri di vino che venne consumato dai commensali che disponevano di 120 tazze ombelicale, anch’esse in bronzo.


L’esame compiuto sui residui trovati dagli archeologi ci informano che in quei calderoni era stato versato una bevanda “forte”, un misto di vino d’uva, birra d’orzo e miele fermentato.

Si sa anche che quei commensali mangiarono nel banchetto in onore del re defunto carne grigliata di pecora e capra, fatta marinare nel miele, olio d’oliva e vino cotto con lenticchie ricche di spezie orientali.


Non male per un popolo vissuto 2800 anni or sono, ma, quel che più ci interessa, è che già allora il vino era abbondantemente prodotto e consumato nell’attuale Turchia, come lo sarà anche al tempo dei Sultani ottomani (1453-1922) e ancora, liberamente, fino ai recentissimi divieti di Recep Tayyip Erdogan