lunedì 10 dicembre 2012

Il Pranzo di Natale



Il Pranzo di Natale

Valori, simboli e piatti 
della Cena di Vigilia e del Pranzo di Natale
 alcune note di Giampiero Rorato



Perché attorno a questi due momenti – Cena della Vigilia e Pranzo di Natale – c’è un’immensa letteratura e anche attualmente, relativamente a questi due pasti, tutti i media – quotidiani cartacei e on-line, riviste, radio e TV – discutono, propongono, intervistano, suggeriscono?

Evidentemente si tratta di due momenti che non si esauriscono nel puro fatto alimentare, ma assumono significati e valori che esulano dalla quotidianità del cibarsi. Si tratta, infatti, di due pasti strettamente collegati alla festività in cui sono inseriti e di cui fanno parte, sono essi stessi momenti della festa e come tali vanno preparati, capiti, gustati e vissuti.

A determinarne le caratteristiche interviene anche la tradizione (ogni terra ha la propria) e, relativamente alla Cena della Vigilia, quanto disposto dal Concilio di Trento nel suo ultimo decreto, varato il 4 dicembre 1563.



La Cena della Vigilia

Nel decreto conciliare appena citato, riguardante i giorni in cui i cristiani sono invitati a praticare l’astinenza dalle carni e il digiuno, vi sono anche le vigilie delle grando solennità religiose, fra cui quella del Santo Natale. Da allora, si è consolidata nel mondo cattolico la tradizione di sedersi a tavola la Vigilia per un solo pasto – a mezzogiorno o alla sera – astenendosi rigorosamente dalle carni.
[Va qui ricordato che numerose famiglie, pur attenendosi alla regola di un solo pasto nella giornata, anticipano per antica loro tradizione alla sera della Vigilia il Pranzo di Natale, limitandosi il giorno successivo a pasti sobri.]

I piatti tradizionali della Vigilia sono dunque a base di prodotti ittici e di ortaggi, con particolare preferenza – in molte parti – per l’anguilla (foto sotto), che, un tempo, era un pesce reperibile praticamente ovunque, vivendo in tutti i corsi d’acqua e, proprio per questa diffusissima presenza del passato, la tradizione continua ancor oggi. 



Nelle zone di montagna nei cui torrenti è più diffusa la trota, è questa che diventa il pesce della vigilia, essendo un ottimo pesce che, se ben preparato, non teme il confronto con il salmone, il quale, al pari dello storione, fortemente spinti dalla pubblicità, entrano nelle tavole che si credono più ricercate e raffinate, ma è solo vuota presunzione. 

Nella Cena della Vigilia è spesso presente lo stoccafisso (il “baccalà” dei Veneti) e nel Veneto orientale, soprattutto il “baccalà mantecato”, come anche i vari tipi di cefali, oppure, come esigevano sulla loro tavola della Vigilia i patrizi veneziani d’un tempo, branzini, oppure orate, o anche rombi chiodati





Attualmente, sulla scelta del pesce c’è naturalmente ampia libertà e, per gli altri piatti, consiglio un antipasto a base di trota, un primo che può essere un risotto al radicchio rosso di Treviso tardivo e, per il contorno al pesce, delle verdure in armonia con il tipo di pesce e la cottura praticata.

Il Pranzo di Natale

Perché deve essere un pranzo importante, ricco, opulento, servito sul miglior servizio di piatti presente in casa, con grandi vini, da concludere con il dolce?

Questo pranzo è il momento nel quale l’intera famiglia si riunisce attorno alla tavola – occasione oggi piuttosto rara –; è un momento che si colloca all’interno di una ricorrenza fondamentale per la storia dell’intera umanità: ricorda infatti la nascita di Gesù a Betlemme, la nascita di Dio che si è fatto uomo per indicare agli uomini la strada del loro riscatto, “luce vera che illumina ogni uomo”, come ci ricorda l’evangelista Giovanni. 

Quel Bambino è venuto a dirci che la strada del riscatto per l’intera umanità passa per strade che si chiamano rispetto e amore per la vita, perdono, solidarietà, collaborazione, pace, amore fraterno. Se ci fermiamo un istante a riflettere comprendiamo bene il valore anche attuale di quella nascita e di quel messaggio.

Giorno specialissimo, dunque, il Natale del Signore, tanto importante da essere festeggiato anche da quanti appartengono ad altre religioni o, per loro sfortuna, sono senza religione.



Si giustifica allora appieno – oltre al momento religioso per i cristiani – anche il momento conviviale, che è complementare al momento religioso, esso stesso un fatto religioso, poiché festeggia, attorno a tavole signorilmente preparate e riccamente imbandite, la nascita del Bambino di Betlemme, nato da Maria, figlio di Dio, vero Dio e vero uomo.

Da questa premessa discende l’organizzazione del Pranzo di Natale, che deve essere ricco e pienamente soddisfacente, tanto che in Germania il Natale era addirittura definito “il giorno della pancia piena”, quasi dimenticando che è il giorno anniversario della nascita di Gesù a Betlemme.

La tradizione veneta non aveva in passato antipasti specifici, ricorrendo, fino a cinquant’anni fa, all’unico antipasto esistente, preparato soprattutto in occasione dei pranzi di nozze: salumi affettati e giardiniera. Oggi c’è più libertà e la fantasia delle donne di casa sa aprire festosamente questo importantissimo pranzo. 



Prima di indicare alcuni piatti, mi preme ricordare che nel mondo occidentale il Santo Natale di Gesù (perché, non dimentichiamolo, è il suo natale che si ricorda) è celebrato come festa del pane e della carne. Gesù nasce a Betlemme (nella foto sopra, la basilica di Betlemme), l’ebraica Beth Lehem, che significa “Casa Del Pane” e la palestinese (quindi in lingua araba) Bait Laham, che significa “Casa della Carne”.

I piatti

Venendo ai piatti, in passato, in molte parti, Veneto incluso, dopo un non sempre presente antipasto, veniva servita un fumante piatto di tortellini (o ravioli) in brodo, con un’abbondante grattugiata di formaggio stravecchio, cui seguiva un gran cappone ripieno, preferibilmente arrosto. 



Questi erano e, in molte famiglie lo sono ancora, i due piatti principali del pranzo natalizio, preparati nel solco di una millenaria tradizione. 

C’è chi aggiunge al cappone (in questo caso bollito) o porta in tavola al suo posto, una tacchinella ripiena cotta al forno. Preciso subito che questo piatto (in particolare: tacchinella ripiena alle castagne) è stato introdotto nel Lombardo-Veneto dagli austriaci dopo il Congresso di Vienna del 1815 entrando poi, abbastanza diffusamente, nella tradizione di queste regioni. 

Qui servono alcune precisazioni. Innanzi tutto i due piatti impiegano ingredienti doppi nel senso che dapprima c’è una pasta ripiena e anche la carne è riccamente farcita e questi piatti dagli ingredienti doppi esaltano il valore e l’importanza del pranzo che diventa espressione di una festa tutta speciale e straordinaria. In secondo luogo si impiega carne di animali di cortile, mai carne di agnello (simbolo della resurrezione, quindi riservato alla festa di Pasqua), né di bue, o similare, essendo questo animale protagonista, seppur indiretto, dell’evento di Betlemme.

Se in Italia e nei Paesi latini si preferisce il cappone, in altri Paesi si impiegano alti animali: tacchini in Austria, Inghilterra, America; oche a anatre nell’Europa centrale; maiali e cinghiali nei Paesi nordici.  

 

Il contorno, poi, dipende dai prodotti locali, anche se da diversi anni è d’attualità il radicchio, che sia di Treviso, Castelfranco, Verona, Chioggia o Lusia poco importa, ma deve essere fresco, croccante, gustoso, colorato per rendere ancor più allegra la tavola.

Il Dolce

Infine, come accennato ricordando il significato ebraico del nome di Betlemme, c’è il pane. In passato, il pane quotidiano - spesso scarso, quando c’era, e comunque confezionato con cereali minori nella stragrande maggioranza delle famiglie (i ricconi che disponevano di pane bianco erano pochissimi) - il giorno di Natale doveva essere abbondante, fragrante, saporoso, ricco di cose dolci, solitamente vietate alla povera gente. 

Ed è nata così – probabilmente dall’anno 350, quando papa Giulio I avrebbe fissato nel 25 dicembre la data della nascita di Gesù a Betlemme – quella stupenda tradizione che ci ha tramandato pinza, pangiallo, panforte, pandolce, panpepato, pan d’épices e ancora panettone e pandoro.



Eccolo il dolce di Natale che ha esso pure un ben preciso significato, quasi a voler sottolineare e ricordare la piena verità e attualità delle parole di Gesù: “Io sono il pane della vita: chi viene da me non avrà più fame …. e il pane che io darà è la mia carne per la vita del mondo.”  

Non è azzardato, gustando il dolce di Natale, ricordare le parole di Gesù e il suo lascito all’umanità, dal momento che abbiamo bisogno tutti di riscoprire appieno il suo messaggio di amore e di fraternità, perché solo ascoltando e seguendo quel messaggio si possono affrontare con speranza di risolverli i numerosi problemi che colpiscono ancora attualmente l’umanità, far cessare le tante guerre, spesso fratricide, che mietono troppe vittime innocenti in tante parti del mondo e, problemi non secondari, debellare la fame e le malattie che colpiscono tante parti del mondo .

Per concludere col dolce, esso è il vero “Pane di Natale”, un pane opulento, prezioso, principesco, arricchito di uva passa, canditi, mandorle, noci, pinoli e altra frutta simile, simboli universali di fertilità, garanzia di un futuro illuminato da nuove vite.


I Vini

Un accenno, infine, ai vini: per il pranzo di Natale ci vogliono i migliori vini che è possibile avere per ogni piatto, da servire in calici di cristallo, i più raffinati e preziosi conservati in casa. 



Si può iniziare con uno spumante che può accompagnare, volendo, anche l’antipasto: un Brut Metodo Classico Trentino o Franciacorta od Oltrepò Pavese o altro simile. Di gran moda è quest’anno il Prosecco Spumante, sia Docg che Doc, serviti tutti a 6-7°C. Per i primi piatti – minestra in brodo o asciutta - va benissimo un serio vino bianco meglio se locale, servito alla temperatura di 10-11°C. Per la carne un grande vino rosso e ogni regione ne possiede in quantità, ma che sia eccellente, di ottimo corpo e struttura, meglio se di qualche anno, da servire in calici ampi alla temperatura di 15-18°C (secondo il tipo di vino). 

Infine per il dolce. Trattandosi di un lievitato vanno rigorosamente evitati i passiti, i vinsanti e i liquorosi, che non sono adatti. Da scegliere spumanti dolci, di moderata gradazione. Se si pensa che un Pandoro ha una quantità di burro che supera il 50%, ci vuole uno spumante di ottima acidità e struttura. Per il Pandoro e il Panettone suggerisco un Recioto di Gambellara Spumante, vino straordinario, anche se la tradizione si è consolidata attorno all’Asti Spumante e al Colli Euganei Fior d’Arancio (anche questo un ottimo spumante da uve Moscato giallo).

E che sulla tavola non manchi la frutta di stagioneagrumi di Calabria e di Sicilia in primis – e frutta secca in abbondanza e che attorno alla tavola ci sia tanta festosità e la gioia d’essere assieme in un vero convivio, che è un vivere assieme l’avventura della vita.