mercoledì 6 maggio 2009

I Vini proibiti

Convegno organizzato dalla Fisar il 29 aprile 2009 nella Sala delle Adunanze della Cantina Sociale di Casarsa della Delizia (PN), in occasione della 61ª Sagra del Vino

Conversazione di Giampiero Rorato
Uno degli argomenti che formano oggetto di lunga e piacevole discussione tra quanti amano il vino riguarda la produzione nelle nostre campagne di vini “proibiti”, cioè di vini dei quali è vietata la commercializzazione e, soprattutto il loro uso.
Essi esistono, ma non per la legge, anche se le disposizioni in materia, come vedremo, sono poco chiare. Esistono, certo, ma guai a chiamarli vini ed è assolutamente vietato tenerli in luoghi pubblici, come osterie, enoteche, trattorie, ristoranti e loro cantine.
Eppure sono “vini” piacevoli, li si beve con gioia, avendo alcuni un’inconfondibile dolcezza e un sapore così allettante da piacere anche ai bambini.
Ma sono vietati dalla legge. Anzi, non possono neppure essere chiamati vini. Perché?

La storia

Andiamo un po’ indietro nel tempo e vediamo la storia di questi “vini-non-vini”.
Poco dopo la metà dell’800, e precisamente ad iniziare dal 1858, arrivò accidentalmente in Europa, attraverso la Francia, un afide, cioè un minuscolo insetto parassita della vite, denominato Fillossera (Viteus vitifolii), proveniente dal Nord America, che si diffuse con sorprendente velocità in tutte le zone viticole del Vecchio Continente, dimostrandosi esiziale per le viti.
Il ciclo vitale di questo minuscolo insetto parassita passa attraverso diversi stadi e nell’arco di un’estate si susseguono sei o sette generazioni analoghe di queste femmine senza ali. All’avvicinarsi della stagione fredda, le forme giovanili si rifugiano sulle radici producendovi delle galle, cioè delle escrescenze nelle quali sono depositate le uova di questi afidi.
Verso la fine dell’estate e in autunno alcune di queste gallecole radicicole danno origine a femmine alate che sfuggono dal terreno e volano sulle piante vicine, deponendo uova da cui si svilupperanno gli individui sessuati. A questo punto il ciclo si ripete.
Il problema non fu subito compreso, essendo del tutto nuovo e imprevisto, ma si assistette pressoché impotenti al progressivo diffondersi di questa tragedia che colpì la viticoltura europea e italiana.
In Italia la Fillossera comparve nel 1879, identificata nelle province di Como e di Milano e l’anno dopo fu identificata in Sicilia, nelle viti coltivate nelle province di Caltanisetta e Messina.
Durante il suo progressivo espandersi nella penisola italiana la Fillossera distrusse due milioni di ettari di vigneti.
Le radici della vite europea, a differenza di quella americana, sono infatti sensibili alle punture della Fillossera ed è per questo che una buona parte del patrimonio viticolo italiano andò allora in rovina.
A causa di questo afide, i tessuti radicali subiscono una grave disorganizzazione, aggravata, come abbiamo visto, dai successivi insediamenti di microrganismi patogeni. La pianta deperisce notevolmente e quindi muore.
Il gravissimo problema della Fillossera diede luogo sul finire dell’800 alla promulgazione di tutta una serie di misure contenitive e di lotta, dimostratesi però inefficaci. Il fatto è che si voleva a tutti i costi e a buon diritto conservare le viti che già c’erano e, a questo fine, furono compiuti molti tentativi andati però a vuoto.
Finalmente il problema venne risolto mediante l’innesto della vite europea, produttrice di vini di qualità, su piede cioè su radice di vite americana o di suoi ibridi, resistenti agli attacchi della Fillossera e tale metodo è tuttora di generale applicazione.
Ci vollero però molti anni per trovare questa soluzione, che fu ed è certamente onerosa, poiché richiede la creazione di barbatelle con portainnesti da viti americane e per ottenerne in numero sufficiente per ricreare il patrimonio viticolo che era andato distrutto ci volle del tempo oltre al lavoro di molte persone.

Un tentativo ben riuscito

Compiendo gli studi necessari per capire come risolvere il problema, si era dunque scoperto che le radici delle viti che allignavano oltreoceano, in particolare nel Nord America, non risentivano degli attacchi della Fillossera: erano come vaccinate.
Ma quelle viti erano selvatiche, non appartenevano alla specie “europea” detta anche “vinifera”, ma appartenevano alle specie “labrusca”, “riparia”, “silvestris”, “rupestris”, “berlandieri”, ecc. e producevano grappolini insignificanti, non adatti alla vinificazione, la cui produzione sarebbe stata comunque assolutamente non remunerativa dal punto di vista economico.
Tuttavia, incrociando fra loro due di queste specie selvatiche, o una specie selvatica americana con la vitis vinifera europea e coltivando la pianta ottenuta con adeguati sostegni e regolari potature, come si faceva da sempre con le viti europee, si ottenevano delle viti che producevano dei grappoli che permettevano di produrre un vino ben diverso da quelli tradizionali europei, ma per nulla disprezzabile e, a volte, addirittura molto piacevole.


Il Fragolino

Una di queste nuovissime viti (in verità nuovissima per L’Europa) venne chiamata “Isabella”.
Si tratta di un vitigno nato dall’incrocio, probabilmente spontaneo, della Vitis vinifera per la Vitis Labrusca, quindi da due specie diverse, perciò correttamente chiamato “ibrido”, capace di produrre direttamente, quindi senza innesto di radici americane, come già le vecchie viti europee e perciò definito “produttore diretto”, per cui la definizione tecnica di questo vitigno è “Ibrido Produttore Diretto”.
L’uva ottenuta, a bacca rossa, risultò dolce e così il vino, con un netto e forte sapore di fragola di bosco.
Ecco, appunto, la nostra famosa uva fragola (detta anche Uva americana, Isabella, Raisin de Cassis).
Questa è la più antica vite americana, introdotta in Europa ben prima che sorgesse il problema della Fillossera e ascrivibile alla specie linneana Vitis Labrusca, incrociata con la Vitis vinifera e la sua area di origine è stata individuata nella zona del Lago Ontario. In Francia si hanno le sue prime notizie nel 1820 e in Italia nel 1825, quindi molto prima dell’interesse per gli Ibridi Produttori Diretti, ottenuti solo alla fine dell’800 per contrastare la diffusione della Fillossera e della Peronospora che stavano in quegli anni distruggendo i vigneti in tutto il Vecchio Continente. E proprio l’introduzione di questa vite in Europa sembra sia stata il veicolo che ha trasportato al di qua dell’Atlantico il flagello della Fillossera. All’inizio la diffusione del vitigno Isabella fu molto lento, suscitando un certo interesse per la sua rusticità e la naturale vigoria vegetativa, ma il gusto foxy, cioè selvatico, del vino prodotto non era molto apprezzato. Tuttavia, quando la Fillossera iniziò a dilagare fu giocoforza ricorrere a questo vitigno che non era colpito dal terribile afide, distruttivo delle radici e, conseguentemente, dell’intera pianta.
Il vino che se ne produce, detto Fragolino, ha un particolare aroma di fragola che i francesi chiamano framboisier o cassis e gli anglosassoni foxy (volpino). Questo aroma intenso di fragola di bosco in passato non è stato molto apprezzato, ma da un po’ di tempo il Fragolino sta trovando un numero crescente di estimatori, perché è un vino leggero e molto profumato, dall’originale e caratteristico sapore foxy. Mantenuto adeguatamente dolce risulta molto gradito, soprattutto a fine pasto e fuori pasto, anche ai consumatore non abituati ai consumi alcolici. Attualmente se ne produce ancora in alcune aree italiane e si presenta nelle forme tranquillo e frizzante.
Altro vitigno Ibrido Produttore Diretto, molto resistente agli attacchi della Fillossera, è il Clinton, anche questo originario degli Stati Uniti d’America, un vitigno che ha preso il nome dalla città di Clinton, nello Iowa. Il Clinton, chiamato anche Clinto, Crinto, Grinton, U Grintu, è stato l’Ibrido Produttore Diretto più noto e più diffuso in area veneto-friulana, e dalle sue uve si ottiene un vino rosso assai piacevole. Un tempo il Clinton era diffuso in varie regioni d'Europa ma attualmente è quasi scomparso e, come abbiamo già ricordato, godette in passato di grande diffusione ed è ancora assai popolare tra i suoi conoscitori. Questo vino ha bassa gradazione alcolica, il che lo rende di difficile conservazione, oltre la primavera dell’anno successivo alla vinificazione ed ha un colore violaceo intenso che lascia una traccia densa nelle bottiglie e nei bicchieri e una macchia particolare nelle tovaglie.
Il Clinton è un incrocio tra la Vitis labrusca e la Vitis riparia e, una volta vinificato con le tecniche tradizionali, presenta un problema non da poco: si arricchisce di alcool metilico, sostanza che, se assunta in abbondanza – ma bisognerebbe berne ettolitri - provoca danni al nervo ottico e alla retina per le interazioni che provoca al sistema nervoso.
Soffermiamoci un po’ su questo vino, assai diffuso in Italia fino dopo la metà del secolo scorso. Si tratta di un vino aspro, intenso, quasi grezzo e dal colore rosso intensissimo che lascia macchie ovunque lo si versi. È un vino unico, inconfondibile, dal gusto forte e particolare, profumatissimo, di color rosso molto intenso, cupo/violaceo, proverbiale anche per macchiare in modo indelebile la ceramica bianca delle tazze in cui veniva versato. Tecnicamente, in senso stretto, è anche difficile poterlo definire vino: la sua qualità è abbastanza scarsa, la gradazione alcolica molto bassa (6-8° in volume) e la naturale conservabilità non va oltre l’inverno. La massima diffusione di questo vitigno si è avuta nell’ultimo dopoguerra, verso gli anni 50-60 del secolo scorso, poi è andata progressivamente diminuendo, anche se non è scomparso. Tradizionalmente era il vino che si beveva nelle case di campagna in autunno-inverno in attesa che il vino buono (quella ottenuto dalle viti tradizionali) maturasse. Per il suo gusto deciso, fortemente acidulo e molto aromatico, si accompagnava molto bene nelle nostre aree alla frutta secca, alla zucca al forno, alle castagne arrostite, alle patate dolci.
Altro vitigno abbastanza diffuso in passato è il Bacò, un Ibrido Produttore Diretto, ottenuto dall’incrocio di Vitis Vinifera per Vitis Riparia. È originario della Francia, ottenuto probabilmente nei vigneti sperimentali dell’Università di Montpellier e il suo nome, secondo alcuni, si riferirebbe a Bacco, l’antico dio romano del vino. È però vero che il tecnico che ha selezionato questo ibrido si chiamava proprio “Baco” e la varietà ottenuta fu chiamata Baco noir. La storia di questo vitigno, poi, è molto simile a quella del Clinton col quale condivide la zona di tradizionale insediamento e, soprattutto, la bassa qualità del vino.
Tra gli Ibridi Produttori Diretti di prima generazione è uno dei pochi nel quale non è presente la Vitis Labrusca ma la Vitis vinifera europea, i cui caratteri più gentili sono, infatti, ben evidenti, confrontando questo vino con altri ibridi, come Isabella, Clinton, Oberlin, ecc. Abbiamo già ricordato che si tratta di un vino leggero, dal gusto particolare, con fondo dolciastro e di corta vita. Prodotto in piena estate, non regge a lungo le temperature elevate e soprattutto gli sbalzi termici che già a settembre possono essere notevoli. Praticamente, con l’arrivo dell’autunno, il Bacò era già finito e l’ultimo bevuto non lasciava rimpianti.
Altro celebre vitigno ibrido produttore diretto ottenuto incrociando un clone della Vitis Lambrusca x un clone della Vitis riparia è il Noax, conosciuto anche come Fragolino bianco o, più correttamente, Clinton bianco. La pianta è molto simile al Clinton, con tralci esili, numerosi e vigorosi, foglie larghe e molto abbondanti. Anche la qualità di questi vino è abbastanza scadente: bassa gradazione, elevato contenuto di metanolo, forte aroma e sapore foxy (Volpino). Come accennato, è considerato un “fragolino bianco”, possiede una sua piacevolezza e, forse anche perché una vera rarità, è ricercato dagli amatori.

La strana storia dei vini proibiti

Oltre agli Ibridi Produttori Diretti prima ricordati – l’Isabella o Fragolino rosso, il Noax o clinton bianco e il Clinton, furono creati e diffusi anche altri ibridi e cioè l’Oberlin (ibrido tra la Labrusca e la Vinifera), l'Elvira e il Taylor, (ibridi tra la Labrusca e la Riparia), lo York-Madeira (Labrusca x Aestivalis), l'Othello (Labrusca x Riparia x Vinifera), lo Jacquez e l'Herbemont (Aestivalis x Cinere x Vinifera), questi ultimi privi del sapore foxy.
Come ben sappiamo, tutti questi vini sono non sono commerciabili, perché sono “vini non vini”, la legge, infatti, vieta di chiamarli vini, perché solo il succo fermentato del frutto della Vitis vinifera può essere, per la legge, chiamato vino.
Vediamo, allora, perché hanno subito questa condanna.
Il dilagare di questi ibridi produttori diretti, troppo spesso considerati la soluzione nazionale al problema vinicolo al tempo della Fillossera, portarono a una sovrapproduzione di vini scadenti e alla percezione del pericolo che rappresentavano per la qualità del prodotto.
Fu allora che intervenne il legislatore con la legge 23 marzo 1931 n° 376 che vietava, diceva testualmente, "la coltivazione dei vitigni ibridi produttori diretti" salvo che nelle province in cui gli organi ministeriali "ne riconoscano l'utilità" e con modalità da stabilirsi con decreto ministeriale. Tale legge non riguardava tuttavia l'uva fragola, considerata allora non un ibrido ma figlia unicamente della vitis labrusca, ma pochi anni dopo, con la legge 2 aprile 1936 n° 729 venne estesa la norma anche ad essa stabilendo che il divieto si applica "anche alla coltivazione del vitigno Isabella (vitis labrusca) sotto qualunque nome venga qualificata. Tale coltivazione è peraltro ammessa anche fuori dei limiti stabiliti, nei casi nei quali risulti accertato che è fatta solo allo scopo di produzione di uva destinata al consumo diretto".
Per consumo diretto doveva ovviamente intendersi sia il consumo come uva da tavola che la sua vinificazione.Queste norme vennero poi riprodotte nel Testo Unico del Regio Decreto 16 luglio 1936 n° 1634. Le disposizioni appena viste non sono mai state applicate con molta rigidità e sia l'uva fragola che gli altri ibridi produttori diretti hanno continuato ad essere coltivati. Né il Ministero ha mai emanato i decreti che avrebbero dovuto disciplinarne la coltivazione.
Si può quindi concludere che, a parte il divieto teorico della coltivazione e privo di sanzioni (salvo ovviamente quella patrimoniale di non poter chiedere contributi per l'impianto di coltivazioni di uva fragola o di Clinton o di Bacò o di Noax!), nulla impediva all'epoca di coltivare uva fragola, di venderla e di vinificarla.
Si può anche concludere che il legislatore non ha mai inteso vietare il vino di uva fragola per il fatto che esso contiene una percentuale superiore alla media di metanolo, come è invece opinione diffusa tra i profani.
Ma veniamo ora a nostri giorni.
Meno favorevole ancora è la situazione del vino prodotto con queste uve, a partire dal 1965. L'art. 22 DPR 12 febbraio 1965 n° 162, proibiva, senza tanti fronzoli di parole, la vinificazione di uve diverse dalla vitis vinifera; però subito, a seguito delle proteste dei coltivatori, interveniva il legislatore a correggere la legge; così l'art. 1 della legge 6 aprile 1966 n. 207 stabiliva che "sono vietati la detenzione a scopo di commercio ed il commercio dei mosti e dei vini non rispondenti alle definizioni stabilite o che abbiano subito trattamenti ed aggiunte non consentiti o che, anche se rispondenti alle definizioni e ai requisiti del presente decreto, provengono da vitigni diversi dalla vitis vinifera, eccezion fatta per i mosti ed i vini provenienti da determinati vitigni ibridi, la cui coltivazione potrà essere consentita con decreto del ministro per l'agricoltura e le foreste in relazione alle particolari condizioni ambientali di alcune zone ed alle caratteristiche intrinseche dei vitigni stessi…
Si intendono detenuti a scopo di commercio i mosti o i vini che si trovano nella cantina o negli stabilimenti o nei locali dei produttori e dei commercianti".
Ci vuol poco a comprendere che il legislatore, secondo un uso ben consolidato, non sapeva bene di che cosa stesse parlando e perciò si è rifugiato in una espressione generica (vitigni ibridi) che nulla dice e che demanda tutto a decreti ministeriali che possono concernere sia ibridi produttori diretti, sia ibridi di altro tipo, sia l'uva fragola, di cui non si sa bene se sia o no un ibrido, ma che senz'altro il legislatore voleva salvaguardare, visto che esso era proprio il prodotto principale per cui era stata sollecitata la correzione della legge! La legge però contiene un notevole miglioramento della situazione giuridica del fragolino: mentre la legge del 1936 ne consentiva solo l'uso diretto, tale limitazione è sparita nella legge del 1966 la quale autorizza, alla sola condizione della preventiva autorizzazione, la coltivazione della vitis labrusca, senz'altra limitazione e quindi anche al fine di vinificarla e di porla in commercio.
Da come è formulata la norma (molto male!) si deduce anche che è impossibile ravvisare una sanzione a carico di chi vinifichi uva fragola senza autorizzazione sia che lo faccia per uso proprio sia al fine di porlo in commercio. Non può applicarsi la norma che vieta di porre in commercio vino non proveniente dalla vitis vinifera perché è il legislatore stesso a consentire la vinificazione e la detenzione del relativo prodotto a scopo di commercio; non si può punire la coltivazione senza autorizzazione perché nessuna sanzione è prevista.
Stando alla lettera della legge non parrebbe neppure vietato di chiamare il fragolino "vino", anche se ragioni di cautela (essendo il termine "vino" riservato, come abbiamo visto, al prodotto della vitis vinifera anche in norme comunitarie) consigliano di evitare ciò e di chiamarlo solo "fragolino" o "bevanda a base di uva fragola".
Quindi, a partire dal 1966 l'uva fragola poteva essere coltivata per produrre uva destinata al consumo diretto, non vi è alcuna sanzione per chi vendeva l'uva fragola come uva da tavola, la vinificazione dell'uva fragola è consentita, era consentito porre in commercio il prodotto della vinificazione dell'uva fragola.
A seguito dell'entrata in vigore di normative europea, la situazione giuridica è stata ulteriormente modificata. Il Regolamento n. 822/1987 del 16 marzo 1987 ha fissato l'elenco dei vitigni che possono essere utilizzati per la produzione di prodotti vinosi; in esso si prevede una deroga temporanea per gli incroci interspecifici (ibridi produttori diretti).
Infine il Regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio del 17 maggio 1999 relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, all'art. 19, ha stabilito che:"1. Gli Stati membri compilano una classificazione delle varietà di viti per la produzione di vino. Tutte le varietà classificate appartengono alla specie Vitis vinifera o provengono da un incrocio tra questa specie e altre specie del genere Vitis. La classificazione non può applicarsi alle varietà seguenti: Noah, Othello, Isabelle, Jacquez, Clinton e Herbémont.
2. Nella classificazione gli Stati membri indicano le varietà di viti atte alla produzione di ciascuno dei v.q.p.r.d. prodotti nel loro territorio. Tali varietà appartengono alla specie Vitis vinifera.3. Soltanto le varietà di viti menzionate nella classificazione possono essere impiantate, reimpiantate o innestate nella Comunità per la produzione di vino. La restrizione non si applica alle viti utilizzate a scopo di ricerca ed esperimenti scientifici.
4. Le superfici piantate con varietà di viti per la produzione di vino non menzionate nella classificazione devono essere estirpate, tranne nei casi in cui la produzione è destinata esclusivamente al consumo familiare dei viticoltori."
Questa disposizione, che ribadisce la possibilità di coltivare la vitis labrusca per il consumo diretto, non avrebbe inciso più di tanto se il legislatore italiano, con la legge 4 novembre 1987 n° 460, che convertiva il D.L. 7-9-1987 n° 370 non avesse stabilito l'obbligo di estirpare le viti proibite, pena la rimozione d'ufficio a spese del coltivatore (art. 4) e non avesse comminato la pena della multa da lire 210.000 per ogni quintale di mosto o vino prodotto con uve diverse da quelle consentite da regolamento europeo del 1987 e detenute a scopo di commercio, posto in vendita o somministrato, pena comunque non inferiore a lire 1.200.000.
La legge si è dimenticata del tutto della coltivazione dell'uva fragola da utilizzare come frutto per la distillazione di acquaviti. Non esiste ragione al mondo di vietare questo impiego ed è evidente che la legislazione, nella sua preoccupazione, ormai superata, di vietare la coltivazione del vitigno andrebbe interamente rivista: se si vuole (o si deve per obblighi comunitari) mantenere il divieto di vinificazione per uso commerciale,si deve però riconoscere che l'uva fragola è un frutto come un'altro che è insensato non coltivare.
Perché tanto accanimento?
La legge non spiega perché il legislatore abbia reiteratamente vietato la coltivazione degli Ibridi Produttori Diretti e il commercio del vino da essi prodotto, ma i documenti del tempo lasciano suggerire alcune ipotesi.
Innanzi tutto si affermava che queste uve non si prestavano a una corretta vinificazione e, per di più, c’era la presenza nelle bucce di sostanze tossiche, che, se assunte in dosi eccessive, portavano a seri disturbi fisici. Il Clinton, ad esempio, ha un valore tannitico molto elevato per cui potrebbe addirittura risultare tossico.
In secondo luogo il lasciare libera diffusione agli Ibridi Produttori Diretti avrebbe danneggiato un serio recupero del patrimonio viticolo storico, con perdite irreparabili per la cultura vitienologica europea ed italiana.
Il bello è che si continua su questa strada, per cui lo stato attuale della questione è il seguente:- È consentito coltivare l'uva fragola in tutto il territorio italiano, ma solo "per il consumo familiare dei viticoltori". L'espressione sembra restrittiva rispetto a quella precedente che vietava solo la produzione a scopo di commercio, ma in realtà è praticamente coincidente: il consumo familiare non esclude ovviamente la possibilità di regalarlo ad estranei alla famiglia.
L'obbligo di estirpazione per i vigneti che superano l'estensione richiesta per destinare l'uva ad un uso familiare, sia pure allargato, concerne solo le viti "per la produzione di vino"; non si applica perciò a coltivazioni destinate a produrre uve da tavola.
È punibile chi mette in commercio vino fragolino prodotto da vitis labrusca. Se poi egli riesce a produrlo in altro modo … sono fatti suoi!
Non è punibile chi distilla l'uva fragola..
Ma perché provarci un buon calice di fragolino, di Noax, di un raro Clinton, quando per intossicare il sangue dovremmo berne, diceva l’illustre Tullio De Rosa, il creatore del moderno Prosecco, almeno un ettolitro al giorno?
Attendiamo ora l’entrata in vigore delle ultime norme europee sui vini, quelle che di fatto aboliscono DOC e DOCG per introdurre le DOP e vedremo come saranno trattati i vitigni diversi dalla Vitis vinifera ed i vini da essi prodotti.
Nell’attesa possiamo goderci, dopo cena, un buon bicchierino di Noax.